Raccontare Ascoltare Comprendere
Barbara Poggio - Orazio Maria Valastro (sous la direction de)
M@gm@ vol.10 n.1 Janvier-Avril 2012
BAMBINI E BAMBINE NARRANO LE LORO RELAZIONI DI ATTACCAMENTO IN FAMIGLIA
Barbara Ongari
barbara.ongari@unitn.it
Prof. di psicologia clinica del ciclo di vita, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Università di Trento. Gli interessi di ricerca riguardano prevalentemente lo sviluppo emotivo affettivo precoce e la costruzione dei legami di attaccamento nelle filiazioni non biologiche.
Francesca Tomasi
francesca.tomasi@unitn.it
Psicologa, coll. attività di ricerca e docente di psicologia dello sviluppo, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Università di Trento.
Introduzione
Secondo Jerome Bruner (1986), l’organizzazione stessa della personalità
umana può essere definita come “un paesaggio narrativo”, che consente
all’individuo di dare significato alla realtà esterna ed interna e al
contempo di percepire sé stesso nella propria continuità storica, sviluppando
via via consapevolezza del personale ed unico corredo di emozioni, pensieri
e sentimenti.
Fin dai primi giorni di vita i bambini si formano delle immagini interne
schematiche del tipo di rapporti con gli altri che riguardano l’idea di
sé, dell’altro, della relazione tra sé e l’altro. I bambini sviluppano
un “sapere relazionale implicito” basato sull’elaborazione inconscia e
pre-verbale delle esperienze relazionali vissute a livello senso-motorio,
percettivo ed affettivo (Lyons-Ruth, 1998). Tali modelli mentali delle
relazioni interpersonali non sono semplici “copie” dei rapporti effettivamente
vissuti, ma una loro “ricostruzione attiva”. La comparsa del “Sé narrativo”
(Stern, 1985), nel secondo anno di vita, modifica il modo in cui il bambino
percepisce sé stesso nelle relazioni inter-personali. Queste sono ora
contenute “dentro” la sua rappresentazione narrativa. A partire dalla
seconda infanzia, la crescente ricchezza sintattica e morfologica che
caratterizza il linguaggio del bambino, gli consente di organizzare e
di tradurre la sua esperienza personale, fino a quel momento sedimentata
a livello rappresentativo nella memoria, in una trama narrativa continuamente
elaborata e costruita momento per momento, al fine di raccontare se stesso
e la propria realtà (Bruner, 1990; Smorti, 1994; 1997). In questo processo
l’interiorizzazione dell’esperienza dialogica costituisce la base per
la costruzione dell’identità personale e sociale (Nelson, 1999).
Le capacità del bambino di rappresentare mentalmente sé ed il mondo esterno,
giocare a livello simbolico, leggere la mente propria ed altrui e comunicare
con gli altri, costruendo le proprie relazioni sociali, sono connesse
alla sicurezza o insicurezza della sua relazione di attaccamento al genitore
(Meins, 1999). Secondo John Bowlby (1988) il bambino sviluppa dei veri
e propri Modelli Operativi Interni (IWM), ovvero rappresentazioni mentali
inizialmente specifiche e progressivamente generalizzate della qualità
delle proprie relazioni interpersonali significative. Essi sono basati
sulle percezioni cognitive/affettive e sulle attese relative alla possibilità
di poter avere nel caregiver una “base sicura”. In sintesi, i bambini
di età prescolare, che hanno goduto di un attaccamento sicuro fin dalle
prime interazioni, mostrano un buon livello di capacità simbolica, sono
capaci di riflettere liberamente sulla propria esperienza e di esprimerla
anche nelle interazioni con adulti diversi dai genitori, presentando un’elevata
competenza narrativa. Tali capacità trovano il loro fondamento in una
relazione di attaccamento sicura (B), in cui il bambino possa sperimentare
gradualmente se stesso nell’esplorazione dell’ambiente, proprio perché
sostenuto da modalità materne di interazione connotate in termini di sensibilità
(capacità di lettura dei segnali e dei bisogni del piccolo) e responsività
(capacità di rispondervi in modo pronto) (Ainsworth et al., 1978); e successivamente
in un contesto di dialogo emozionalmente aperto, di “co-costruzione” narrativa
con i genitori (Oppenheim e Waters, 1995; Koren-Karie, Oppenheim, Haimovitch
e Etzion-Carasso, 2003). Al contrario, i bambini con un attaccamento insicuro,
che hanno sperimentato modalità di accudimento e di interazione genitoriali
fortemente distanzianti/assenti (sviluppando strategie di tipo ansioso-evitante
A) o altamente imprevedibili (sviluppando strategie di tipo ansioso-resistente
C), non riescono a riflettere apertamente su di sé e sulla propria esperienza,
mostrando minori abilità nel gioco simbolico e modalità narrative meno
coerenti. Del tutto frammentato e caotico appare invece lo scenario narrativo
dei bambini che hanno sviluppato un attaccamento disorganizzato (D), frutto
dell’impossibilità di orientare fin dall’inizio i comportamenti di attaccamento,
così come successivamente le rappresentazioni mentali di sé e della relazione
con il genitore, secondo una strategia di adattamento chiara (sicura o
insicura). L’ipotesi teorica è che la disorganizzazione sia connessa ai
comportamenti spaventanti/spaventati osservati nei loro genitori, che
non hanno elaborato le perdite affettive e/o le esperienze traumatiche
vissute, secondo un fenomeno dissociativo disfunzionale (Main e Hesse,
1990), le cui conseguenze sono evidenti in termini sia di distorsione
delle relazioni familiari (Solomon e George, 2007) sia di rischio evolutivo
(van IJzendoorn, Schuengel e Bakermans-Kranenburg, 1999).
Un numero crescente di ricerche, in prevalenza basate sulla teoria dell’attaccamento
(Cassidy & Shaver, 1999; Grossmann, Grossmann & Waters, 2005), hanno approfondito
lo studio delle rappresentazioni mentali che gli adulti e i bambini hanno
delle loro relazioni interpersonali, attraverso l’applicazione di strumenti
standardizzati di tipo narrativo, dando vita ad un vivace dibattito metodologico.
L’analisi dell’organizzazione strutturale delle rappresentazioni mentali
di bambini in età prescolare rispetto alla qualità delle relazioni con
i propri caregiver e rispetto a se stessi come soggetti sociali, può essere
inferita proprio tramite l’osservazione del comportamento nel gioco simbolico
o dalle narrazioni (Bretherton, 1985). L’Attachment Story Completion Task
(ASCT, Bretherton & Ridgeway, 1990; v. it. Ongari, 2006) è una procedura
composta da un compito di completamento narrativo attraverso il gioco
simbolico con una famiglia di pupazzi, che si propone di analizzare i
Modelli Operativi Interni di sé in relazione alle proprie figure di attaccamento,
in bambini a partire dai 3 anni di età (per la presentazione dettagliata
si veda la sezione metodologica).
Utilizzando questo strumento, diversi Autori hanno rilevato significative
differenze di genere sia per quanto riguarda l’abilità narrativa, sia
nella qualità delle rappresentazioni delle relazioni con i genitori (Page
& Bretherton, 2003; Gloger-Tippelt & König, 2007; von Klitzing, Stadelmann
& Perren, 2007; Sher-Censor & Oppenheim, 2008). Uno studio comparativo
cross-culturale, che ha interessato 5 diversi paesi (Svizzera, Italia,
Spagna, Cile e Belgio), ha concluso che le risposte narrative di bambini
e bambine alle situazioni stressanti proposte nel corso dell’ASCT si differenziano
significativamente e ha discusso gli effetti possibili di alcune variabili
culturali specifiche (Pierrehumbert, Santelices, Ibáñez, Alberdi, Ongari,
Roskam, Stievenart, Spencer, Fresno & Borghini, 2009). Anche in un nostro
precedente lavoro abbiamo riscontrato differenti livelli di complessità
nei dialoghi verbali tra i personaggi partecipanti e specifiche modalità
emotive nel gioco simbolico/narrativo, rispettivamente di bambine e bambini
(Ongari e Tomasi, 2009).
Il presente contributo intende proporre un’analisi qualitativa delle narrazioni
(ASCT) di bambini e bambine in età prescolare, discutendo i risultati
ottenuti in termini di sicurezza dell’attaccamento, di modalità emotiva
e atteggiamenti evidenziati nella co-costruzione delle storie, con un
focus specifico rispetto alle differenze di genere.
Metodo
Partecipanti
La ricerca ha coinvolto 107 bambini ambosessi (M=69; F=38), di età compresa
tra 3,10 e 5,10 anni, frequentanti le scuole dell’infanzia del territorio
trentino.
Procedura e strumenti
A ciascun bambino/a è stato proposto l’Attachment Story Completion Task
in una situazione strutturata di osservazione videoregistrata. L’esaminatore,
attraverso la manipolazione di una famiglia di pupazzi, introduce cinque
tematiche attivanti il sistema dell’attaccamento del/la bambino/a (Figura
1) e gli/le chiede di concludere ogni storia attraverso la messa in scena.
Figura
1 – Le storie che compongono l’Attachment Story Completion Task
La trascrizione integrale di ciascuna storia comprende sia i contenuti
messi in scena e le verbalizzazioni dei personaggi e del/la bambino/a,
sia note relative al comportamento (posture, tono della voce, espressioni
facciali e qualità della manipolazione dei pupazzi e dei materiali). Il
materiale così trascritto, unitamente alla visione delle sequenze videoregistrate,
viene codificato utilizzando tre distinti sistemi, ciascuno dei quali
è stato costruito specificamente per analizzare l’ASCT da diversi gruppi
di ricerca, che ne hanno verificato validità ed affidabilità:
Il sistema Düsseldorf (Gloger-Tippelt, König, Kapitza, Mippers e Retzlaff,
1999) consente di valutare le singole storie in termini di sicurezza/insicurezza,
su una scala di punteggio d’attaccamento compreso tra 1 e 4 (1 = molto
insicuro, 2 = insicuro, 3 = sicuro, 4 = molto sicuro). Inoltre permette
di assegnare un punteggio globale di sicurezza dell’attaccamento e di
classificare i Modelli Operativi Interni del bambino, secondo 4 tipologie
(sicuro B, evitante A, resistente C e disorganizzato D).
Il sistema del MacArthur Narrative Working Group (Robinson, Mannt-Simmons
e McFie, 1996), in base all’analisi del trascritto di ciascuna storia,
valuta i contenuti relazionali, la qualità delle rappresentazioni genitoriali
e le prestazioni del bambino (coerenza narrativa, espressioni emotive,
chiarezza dello stile verbale, coinvolgimento nel compito, comprensione
del conflitto e relazione con l’esaminatore).
Il sistema CCH - Cartes d’Histoires à Compléter (Bader e Pierrehumbert,
1998; Miljkovitch, Pierrehumbert, Karmaniola e Halfon, 2003) consiste
in una procedura di tipo Q-sort, che prevede la visione ripetuta della
videoregistrazione. Il codificatore deve valutare il grado di somiglianza/differenza
osservata nel compito narrativo del bambino, considerato nel suo complesso,
rispetto a 65 affermazioni pre-definite. L’analisi dei punteggi ottenuti
consente la valutazione delle caratteristiche predominanti dello stile
narrativo del bambino e dei M.O.I. rispetto all’attaccamento, articolata
in sette scale: collaborazione, narrazione positiva, espressione adeguata
degli affetti, sostegno genitoriale, reazione alla separazione, distanza
simbolica e debole competenza narrativa. Inoltre tale sistema di codifica
permette il confronto correlazionale con i punteggi-prototipo relativi
alle quattro tipologie di attaccamento (A,B,C,D).
Oltre a questo sistema integrato di codifica (Ongari e Tomasi, 2006),
che consente di ottenere un’analisi qualitativa della sicurezza di attaccamento
e delle performance narrative dei bambini, si è valutata l’articolazione
dei dialoghi, secondo tre livelli di complessità dello scambio tra i personaggi
(I livello: da p. 1 a p. 2, da p. 2 a p.1; II livello: da p. 1 a p. 2,
da p. 2 a p. 1, da p. 1 a p. 2; III livello: coinvolti 3 p.), in rapporto
alle verbalizzazioni.
Risultati
L’analisi delle narrazioni dei bambini ha consentito di valutare i loro
Modelli Operativi Interni in termini di sicurezza e insicurezza, secondo
4 tipologie (sicuro B, evitante A, resistente C e disorganizzato D). Tale
classificazione risulta correlata significativamente al genere (Grafico
1, X² di Pearson, p=.014).
Grafico
1 – Classificazione dell’attaccamento di bambini e bambine (F, sistema
Düsseldorf)
I bambini, pur risultando sicuri per un terzo (31,9%), mostrano livelli
quasi altrettanto elevati di disorganizzazione delle strategie di attaccamento
(26,1%). Le loro narrazioni in questi casi sono caratterizzate da perdita
di controllo del piano simbolico, contenuti fortemente negativi, con escalation
conflittuali e aggressive, nell’assenza di riferimenti a figure genitoriali
supportive e competenti, spesso agenti punizioni molto severe. Tra le
tipologie insicure, l’evitamento sembra leggermente più frequente (23,2%)
rispetto alla modalità resistente (18,8%). Spesso il personaggio di identificazione
è rappresentato come autonomo e capace di far fronte alle difficoltà da
solo, nella messa in scena ridotta al minimo e prevalentemente verbale,
mancano contatto fisico e comportamenti affettuosi con le figure genitoriali,
a volte del tutto assenti.
Al contrario, le bambine ottengono una classificazione sicura nel 44,7%
e solo in 4 casi risultano disorganizzate (10,5%). Inoltre fanno ricorso
a modalità insicure soprattutto di tipo ansioso-resistente (36,8%) piuttosto
che evitanti (7,9%). Le bambine sicure riescono a far fronte al compito,
completando le storie con facilità e coerenza, descrivono episodi di affetto
e aiuto concreto tra i personaggi, con una chiara risoluzione della tematica.
L’attivazione emotiva che l’ASCT implica sembra evidenziare in loro non
tanto l’assenza di strategie organizzate di attaccamento, quanto modalità
rappresentative insicure prevalentemente ambivalenti, caratterizzate da
contenuti narrativi incoerenti e confusi, inversione di ruolo tra personaggi
adulti/bambini ed aggravamento della tematica, spesso non risolta.
Considerando il contenuto delle singole storie, l’andamento dei punteggi
di sicurezza delle bambine risulta mediamente più elevato nelle prime
tre storie (Grafico 2), pur variando significativamente solo nella storia
3 (ANOVA= 5.375, p=.022). In essa viene proposto il tema del mostro nella
cameretta, ossia di una paura poco definibile, alla quale i bambini rispondono
aggiungendo altri eventi strani e negativi (ANOVA= 4.629, p=.034); mentre
le bambine descrivono le azioni e le parole di rassicurazione dei genitori
nei confronti dei bambini (ANOVA= 10.645, p=.001). Di fronte all’attivazione
dell’ansia da separazione (storia 4) la differenza con i punteggi dei
bambini appare meno marcata, fino ad annullarsi nella narrazione della
riunione (storia 5).
Grafico
2 – Sicurezza dell’attaccamento di bambini e bambine nelle 5 storie (M,
sistema Düsseldorf)
Globalmente, le figure genitoriali sono rappresentate come meno competenti
dai bambini (M=0,60; F=0,75; ANOVA= 4.816, p=.030). In particolare le
bambine, più dei maschi, inseriscono il pupazzo materno nella narrazione,
facendole prendere parte attiva nei dialoghi (M=0,47; F=0,68; ANOVA= 4.292,
p=.041), e descrivendola come figura positiva e di supporto in quasi tutte
le storie (Tabella 1, ANOVA **p minore di .01; *p minore di .05).
Tabella
1 – Rappresentazioni positiva delle figure genito riali: confronto tra
bambini e bambine (M, sistema MacArthur)
Inoltre, le bambine ottengono punteggi medi più elevati ad uno dei più
importanti indicatori di rappresentazioni sicure dell’attaccamento, costituto
dai segni di affetto (abbracci, baci, coccole, vicinanza fisica…) messi
in scena e narrati tra i personaggi (ANOVA= 6.880, p=.010).
Anche dal punto di vista formale, si rilevano alcune differenze di genere
(Grafico 3): pur non ottenendo punteggi di coerenza significativamente
più elevati, rispetto ai bambini, le bambine sembrano aver costruito una
competenza narrativa più ricca, utilizzano con maggiore frequenza le verbalizzazioni
(ANOVA=5.297, p=.023) ed inseriscono un maggior numero di scambi dialogici
tra i personaggi (ANOVA= 4.122, p=.045).
Grafico
3 – Verbalizzazioni e dialoghi nelle narrazioni di bambini e bambine (F,
valori medi)
Mediamente, non si rilevano differenze tra maschi e femmine rispetto alla
complessità dell’articolazione dei dialoghi, costituiti in misura maggiore
da semplici turni conversazionali di I livello tra due personaggi (M=
1,03; F=1,82).
Tuttavia, la tonalità emotiva dei dialoghi risulta diversa in rapporto
al genere (Grafico 4). Le bambine si mostrano capaci di mettere in scena
scambi comunicativi tra i personaggi connotati da un’ampia gamma di espressioni
emotive, in prevalenza positive, ma rappresentano in maniera più significativa,
rispetto ai bambini, emozioni negative (ANOVA=4.670, p=.033), come ad
esempio la gelosia tra fratelli (M=0,05; F=0,10; ANOVA=5.227; p=.024),
oppure neutre (ANOVA=4.344, p=.040).
Grafico
4- Tonalità emotiva prevalente nei dialoghi di bambini e bambine (F, valori
medi)
Discussione
I nostri risultati sembrano confermare quanto riscontrato finora nelle
ricerche che hanno analizzato la qualità delle rappresentazioni dell’attaccamento
in età prescolare, attraverso l’Attachment Story Completion Task. Nei
completamenti narrativi le bambine risultano più sicure e competenti.
Maggiori percentuali di disorganizzazione dell’attaccamento nei bambini
sono state trovate anche da Miljkovitch e Pierrehumbert (2008), in linea
con gli autori che sottolineano un livello di vulnerabilità allo stress
superiore nei maschi (Carlson, Cicchetti, Barnett e Braunwald, 1989; Lyons-Ruth,
Easterbrooks e Cibelli, 1997).
Dal punto di vista del contenuto altri studi hanno evidenziato rappresentazioni
più positive delle figure genitoriali (Page e Bretherton, 2003; Gloger-Tippelt
e König, 2007; von Klitzing, Stadelmann & Perren, 2007) e maggiori capacità
di risolvere eventuali conflitti da parte dei personaggi-bambino nelle
narrazioni delle femmine (Sher-Censor e Oppenheim, 2008), secondo l’ipotesi
di una più precoce comprensione delle regole morali, rispetto ai maschi,
connessa ad un loro specifico orientamento verso le relazioni interpersonali
e l’esperienza emotiva (Zahn-Waxler, Cole e Barrett, 1991).
Anche sul piano formale, pur non rilevando differenze di coerenza narrativa
in funzione del genere, sono stati confermati alcuni aspetti sottolineati
in precedenza nell’ASCT delle bambine, come ad esempio la maggiore tenuta
del piano simbolico (Miljkov itch e Pierrehumbert, 2006) e una frequenza
più elevata di verbalizzazioni e dialoghi tra i personaggi (Ongari e Tomasi,
2009).
Con la crescita, il peso assunto dalla diversa appartenenza di genere
sembra aumentare, ampliando le differenze di qualità nelle narrazioni
di maschi e femmine (Steele, Steele, Woolgar, Yabsley, Fonagy, Johnson
e Croft, 2003). Ma attualmente è ancora in discussione quanto e come,
nel processo narrativo coinvolto nella costruzione identitaria legata
all’appartenenza di genere, incidano da un lato le modalità comunicative
e le aspettative degli adulti, dall’altro il contesto culturale.
I nostri dati potrebbero essere collegati a quanto rilevato negli anni
80 da un primissimo studio (Wolf, Rygh e Altshuler, 1984), attraverso
l’ASCT, che aveva rilevato nelle bambine una maggiore capacità di immedesimazione
nei personaggi, modalità conversazionali più intime e dirette nella narrazione
(I persona); mentre i bambini tendevano a descrivere i personaggi dal
punto di vista di un osservatore. E’ chiaro che le differenze di genere
negli stili conversazionali sono complessivamente determinate da fattori
biologici e sociali tra loro interconnessi, da cui sono influenzate secondo
vari tipi di interazione (Golombok e Fivush, 1994). Alcuni Autori hanno
sostenuto che le interazioni genitore-figlia siano maggiormente basate
su aspetti verbali rispetto a quella genitore-figlio, a partire dagli
studi pioneristici di Goldberg e Lewis (1969). Anche gli studi che si
sono occupati del processo di costruzione dei ricordi auto-biografici
in età precoce, ad esempio, hanno messo in evidenza il ruolo centrale
dello stile conversazionale materno (altamente o scarsamente elaborativo),
in rapporto al genere. Le madri tendono a curare maggiormente nei dettagli
la ricostruzione dei propri ricordi mentre li narrano alle figlie (Haden,
Fivush e Reese, 1997). Così, nell’ambito delle ricerche che si sono focalizzate
sulle differenze di genere nel gioco in età prescolare, è emerso come,
pur se il gioco simbolico non sia più privilegiato esclusivamente dalle
bambine ed i maschi sembrino essere più liberi e flessibili nelle loro
scelte, lo spazio ludico non possa essere considerato “neutro” (Ricchiardi,
2005). I genitori, alla richiesta su quali siano i giochi preferiti dai
figli e quelli che hanno una funzione educativa, hanno sotto-indicato
il gioco simbolico, oltre al motorio, ritenendolo meno formativo rispetto
alle attività costruttive o grafico-pittoriche. Sono anche emersi stereotipi
di genere legati al modello familiare ed alle aspettative delle insegnanti.
Infine, rispetto al ruolo giocato dalle variabili culturali, mancano ancora
degli studi sistematici. Una prima comparazione cross-culturale tra l’ASCT
di bambini e bambine appartenenti a 5 diversi paesi (Pierrehumbert, Santelices,
Ibáñez, Alberdi, Ongari, Roskam, Stievenart, Spencer, Fresno & Borghini,
2009), oltre a confermare un effetto di genere sulla sicurezza d’attaccamento,
ha proposto una discussione sulle possibili interazioni di tale fattore
con specifiche variabili culturali. Le pratiche di accudimento familiare
tipiche dei paesi “ispanici” (Spagna e Cile), culturalmente più orientate
all’etero-regolazione emotiva, favorirebbero la trasmissione rappresentativa
di ruoli di genere più tradizionali, a confronto con altri paesi (Svizzera,
Belgio e Italia), in cui la cura dei bambini sarebbe maggiormente mirata
all’auto-regolazione emotiva (Posada, Jacobs, Richmond, Carbonell, Alzate,
Bustamante e Quiceno, 2002). Le narrazioni raccolte tramite l’Attachment
Story Completion Task potrebbero quindi evidenziare maggiori competenze
nelle bambine, un vantaggio “rinforzato” in queste culture, anche in considerazione
del fatto che si tratta di una procedura di gioco simbolico con i pupazzi
(Haight, Wang, Fung, Kimberley e Mintz, 1999).
Dal nostro punto di vista, il senso di questa ricerca sta nella possibilità
di entrare a contatto con il mondo interno dei bambini e delle bambine
attraverso la proposta di un compito narrativo giocato attivamente, efficace
nel mettere a fuoco le differenze individuali del processo di costruzione
dell’attaccamento in chiave rappresentativa.
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